martedì 10 settembre 2013

mercoledì 5 giugno 2013

Immagini oltre la morte...

Alle ansie correlate alla morte, ce n'è una piuttosto inutile (ma inevitabile, vista l'ingombrante necessità di apparire secondo il personale canone estetico) che riguarda l'ipotetica fotografia diffusa dalla stampa e dal web in seguito al proprio decesso (in caso di decesso notiziabile).
Non so voi, ma io rabbrividisco, a volte, vedendo alcune istantanee orrende, sia dal punto di vista fotografico che nella rappresentazione del soggetto, che fanno ben poco onore alla povera vittima in questione (i social network, in questo, hanno fatto la loro porca parte): ragazzine e ragazzini, prede di terribili vicende e carnefici, svenduti a un pubblico divoratore di storie tramite un'immagine in cui un uso scriteriato del flash ha tolto ogni profondità, o colti in flagrante durante una sonora risata che, catturata nel momento meno opportuno, deforma i volti in ghigni grotteschi. Giovani mogli nel fiore degli anni che appaiono immerse nell'idillio domestico, complete di grembiule e spolverino, con permanenti dettate dall'estro creativo del cuscino (occhiaie e pallore cadaverico in omaggio).
Vedo la notizia di me stesso, morto per disgrazia affogato in una friggitrice accesa ("Era fritto"), corredata da quell'orrenda foto sui pattini e le manopole verdi.
Mi troverete cinico e superficiale, ma sono molto più a mio agio con la fotografia di Aldrovandi morto all'obitorio. A discapito delle polemiche che sono scaturite attorno all'immagine. La verità è che, ingabbiati nella nostra società artificiale, abbiamo perso la capacità di relazionarci con la morte. Parlo della morte fisica. Dei cadaveri. E la verità è che la morte dona una ieraticità, una sacralità e un senso di rispetto tale che, banalmente, essa è la miglior icona di sé stessa.

mercoledì 15 maggio 2013

Mi sembra che il modo più adeguato per dare inizio a questo blog sia riportando uno stralcio tratto da un'intervista ad un poeta poco conosciuto, Ettore Asticelli, sebbene lo trovi un po' pedante e retrò:

"Ci sono riferimenti a temi di attualità all'interno delle sue opere?"
"Perché mi fa questa domanda? È una domanda... che non vorrei mai sentirmi porre. Io credo che tutto ciò che viene realizzato da un artista (benché io non abbia l'orgoglio di definirmi tale) tramite la fantasia, e quindi tramite diretta creazione e rielaborazione attraverso il suo intelletto, non abbia e non debba avere volontariamente alcuna attinenza o retaggio con la realtà che lo circonda. E proprio per la sua natura inventiva, costruttiva, di rivelazione di qualcosa che prima non esisteva, o ancora non era stata scoperta: l'atto di mostrare al mondo qualcosa di totalmente originale, arricchendo la realtà di un tassello. Non serve rifarsi a grandi esempi di auctoritas per poterlo affermare- si può discutere la natura forse troppo romantica e naive di queste considerazioni; ma nessuno può negare che la vera ascesi, che costituisce in un tutt'uno l'ispirazione e l'esecuzione artistica, rappresenti un'azione talmente svincolata dall'influenza terrena che in essa il plagio o il rifarsi intenzionalmente a qualcosa di esistente non è nemmeno contemplato.
Ora, è logico però che la creazione avvenga attraverso la rielaborazione, e che ciò a cui attingiamo, spesso inconsapevolmente, rimescoliamo e analizziamo, per poterlo poi riutilizzare in forma nuova e frammentata nella realizzazione di un unicum finale e completo nelle sue parti, derivi indiscutibilmente dalla nostra esperienza di vita, dai nostri pensieri e dai nostri ricordi, e soprattutto dalla nostra tradizione personale (perché sono più le abitudini che formano un uomo che il suo vissuto). Sicché non vi è errore nell'affermare che, in modo diverso da spettatore a spettatore, l'opera ci suggerisca collegamenti e riferimenti a una realtà che già esiste e conosciamo, e che (a volte in modo esplicito, altre più velatamente) si possano riscontrare facilmente citazioni, critiche, rielaborazioni, omaggi. Ma il compito di trovare queste cose è il suo, quello del critico, e non dell'autore; poiché non può farlo. L'artista non ha i mezzi per poter dire alcunché sulla sua opera: essa è l'unica vera comunicazione diretta che è in grado di fornire all'osservatore- l'unico modo che l'uomo ha per mostrare sé stesso nudo! Tentare di comunicare il significato di ciò che si è creato è come spiegare a qualcuno perché continuiamo a vivere, nonostante tutto: non sappiamo spiegarlo a noi stessi, figuriamoci ad altri! L'atto stesso è manifesto, è significato e significante insieme, e non necessita di altre osservazioni, poiché non pertinenti, o perché incomunicabili. Quindi cerchi lei il senso alle parole che scrivo. Per quanto mi riguarda, le ho scritte tutte a caso." (Gianmario Scola, "intervista ad Ettore Asticelli", 1984)