mercoledì 5 giugno 2013

Immagini oltre la morte...

Alle ansie correlate alla morte, ce n'è una piuttosto inutile (ma inevitabile, vista l'ingombrante necessità di apparire secondo il personale canone estetico) che riguarda l'ipotetica fotografia diffusa dalla stampa e dal web in seguito al proprio decesso (in caso di decesso notiziabile).
Non so voi, ma io rabbrividisco, a volte, vedendo alcune istantanee orrende, sia dal punto di vista fotografico che nella rappresentazione del soggetto, che fanno ben poco onore alla povera vittima in questione (i social network, in questo, hanno fatto la loro porca parte): ragazzine e ragazzini, prede di terribili vicende e carnefici, svenduti a un pubblico divoratore di storie tramite un'immagine in cui un uso scriteriato del flash ha tolto ogni profondità, o colti in flagrante durante una sonora risata che, catturata nel momento meno opportuno, deforma i volti in ghigni grotteschi. Giovani mogli nel fiore degli anni che appaiono immerse nell'idillio domestico, complete di grembiule e spolverino, con permanenti dettate dall'estro creativo del cuscino (occhiaie e pallore cadaverico in omaggio).
Vedo la notizia di me stesso, morto per disgrazia affogato in una friggitrice accesa ("Era fritto"), corredata da quell'orrenda foto sui pattini e le manopole verdi.
Mi troverete cinico e superficiale, ma sono molto più a mio agio con la fotografia di Aldrovandi morto all'obitorio. A discapito delle polemiche che sono scaturite attorno all'immagine. La verità è che, ingabbiati nella nostra società artificiale, abbiamo perso la capacità di relazionarci con la morte. Parlo della morte fisica. Dei cadaveri. E la verità è che la morte dona una ieraticità, una sacralità e un senso di rispetto tale che, banalmente, essa è la miglior icona di sé stessa.